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Facile come comunicare male, o meglio, difficile come comunicare bene

08 febbraio 2024  |  Graziano Giacani

Facile come comunicare male, o meglio, difficile come comunicare bene

Chi lavora da qualche decennio nel mondo della comunicazione si ricorda della fatica nel creare un layout grafico, nel correggere a mano un errore ortografico su una pellicola pronta per la stampa, nel disegnare un logo, la fatica di ricercare fonti d’ispirazione.

Per fortuna quei tempi sono passati, le commodity nel mondo della comunicazione ci fanno fare di più e con minor sforzo. Bene, dovremmo sentirci più leggeri, finalmente liberi dalla manovalanza. Ma tutto questo invece ci fa sentire comunicatori dalle “flaccide chia**e”. Appesantiti e troppo abitudinari.

Da qui scatta quella voglia innata artigiana che ci portiamo dentro: faticare. Non riuscire a godersi un risultato se non si è faticato abbastanza, forse perché sentiamo che potevamo fare di più, in qualche modo...

Ecco perché per lo speech del TEDx di Ascoli Piceno abbiamo messo la “fatica” al centro della comunicazione: la fatica nel ricercare le proprie origini, e la fatica di come trasformarle in valori differenzianti della propria identità. La stessa fatica che dovranno fare gli esperti di comunicazione per non portare le eccellenze italiane nell’oblio degli stereotipi, ma tramutarle in portatrici di innovazione e opportunità per il proprio contesto, attraverso linguaggi nuovi e azioni concrete.

Una sana fatica che ci ha guidato nella preparazione dei fatidici 15 minuti sul tappeto rosso del TEDx. La fatica nel non voler esporre la nostra visione nel modo in cui siamo abituati a raccontarla, ma cercando un forte appiglio concreto che validasse le nostre teorie e capace di fare sentire al pubblico un sapore diverso dagli speech di marketing.

Dove cercare ispirazione?

Ovviamente offline, tanto per faticare di più, nei luoghi delle nostre origini. E in un mercatino appare lui: un vecchio libro sul biroccio marchigiano, scritto da Glauco Luchetti, in teoria un semplice strumento da lavoro agricolo, in pratica uno strumento di comunicazione, autentico e incontaminato che riesce ancora oggi a trasmetterci l’identità più profonda del nostro territorio.

Da qui nasce la voglia di costruirne uno a mano per sentirci più esperti dell’argomento, e, come se non bastasse, cresce il desiderio di disegnare tutta la presentazione in stile biroccio, con il gran lavoro del nostro Art Director Gabriele che di slide ne ha illustrate più del doppio del necessario, e di Graphos che ha realizzato tutte quelle parti impossibili da fare a mano.

Ricostruzione 3D degli elementi del tipico biroccio marchigiano

Una fatica che ha coinvolto tutta l’agenzia, la nostra rete e lo staff del TEDx Ascoli Piceno, a partire dal nostro Gustavo, Sara Leonetti, licensee, e l’infaticabile Valeria Petrocchi, speaker coach, che ha tenuto la bussola durante tutta la preparazione del talk. Ovviamente un ringraziamento a Borgoland che ci ha lasciato utilizzare il progetto grafico che avevamo preparato per loro.

Una piacevole sfida che ci conferma che la fatica è fondamentale per non essere comunicatori di stereotipi, e che permette di sperimentare linguaggi nuovi in grado di trasmettere i valori delle nostre origini e costruire opportunità future.

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ONP Creative Model Canvas

21 marzo 2023  |  Graziano Giacani

21 marzo 2023  | Graziano Giacani

 ONP Creative Model Canvas 

Come la comunicazione può aiutare concretamente le piccole realtà del terzo settore? In Italia ci sono 300.000 associazioni, di cui la maggior parte sono locali e con risorse limitate, molte di loro non sono digitalizzate e non sono predisposte per ricevere donazioni online. In questo scenario quali strumenti e tecniche di comunicazione possono essere realmente performanti?

Ci siamo posti questa domanda per preparaci al webinar dedicato alle organizzazioni non-profit italiane creato da Wishraiser, con la partecipazione del nostro amico copy Iacopo Pelagatti. Per questo abbiamo costruito un creative canvas dedicato a loro.

Un piccolo percorso progettuale facile da compilare anche per i non addetti al settore che aiuterà ad avere consapevolezza dei valori da trasmettere e degli obiettivi da raggiungere in base ai mezzi scelti. Non vi resta che provarlo!

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Con gli occhi del brand

27 ottobre 2022  |  Graziano Giacani

27 ottobre 2022  | Graziano Giacani

 Con gli occhi del brand 

Non c’è modo migliore per renderci conto dei cambiamenti sociali, culturali e tecnologici in cui siamo immersi, che osservare la comunicazione e le pubblicità storiche dei brand che fanno parte della nostra vita. Singer, da ben 171 anni, fa parte della quotidianità familiare, e coglie abitudini ed esigenze dei vari periodi storici.

In occasione del Brand Festival 2022, dedicato all’identità in movimento, abbiamo messo in evidenza le trasformazioni sociali attraverso il racconto dei bellissimi manifesti, locandine e copertine catalogo che hanno fatto la storia del famoso brand di macchine da cucito. Un viaggio in 8 tappe, otto momenti ben diversi della nostra storia contemporanea racchiusi in un’istallazione progettata per la Networking Dome del festival.

Nelle immagini scelte si coglie una prospettiva inedita del ruolo della donna, della famiglia e della società nelle varie epoche attraverso la comunicazione Singer. Dal progresso degli anni ’30, alla voglia di serenità degli anni ’50, a tutta l’energia psichedelica degli anni ’60, al benessere dei decenni successivi, fino ad arrivare ad oggi, dove è sempre più profonda la consapevolezza verso le tematiche green e verso un equilibrio sempre più sostenibile tra tecnologia e ambiente. Buon viaggio!

1935

1951

1969

1975

1980

2010

Un progetto che ci fatto toccare con mano il ruolo più nascosto della comunicazione, quello di rappresentare in modo cinico e intimo la società in cui appartiene, evidenziandone pregi e difetti. La pubblicità come fotografia preziosa del presente e documentazione storica per il futuro.  
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Lo strumento non fa il copy

24 gennaio 2022  |  Francesca De Donatis

24 gennaio 2022  | Francesca De Donatis

Lo strumento non fa il copy

 

Parole e immagini. Se esiste un vero segreto per rendere efficace un messaggio, allora possiamo dire che sta nel rapporto tra questi due elementi complementari: il potere evocativo della grafica e la forza esplicativa delle parole, gestire il modo in cui entrano in relazione è il sogno di ogni coppia creativa, art director e copywriter.

Tra le figure coinvolte in ogni progetto di comunicazione c’è quella del copywriter, poco conosciuta fino a qualche anno fa, oggi è tra le più ambite grazie alla sua versatilità, alla possibilità di lavorare anche da remoto e di imparare sul campo “sporcandosi le mani”, infatti non è richiesta un’abilitazione particolare. Prima di arrivare alla scrittura vera e propria, il copywriter svolge un’accurata analisi per delineare il tono di voce del brand e la strategia editoriale. Il primo definisce il carattere e la personalità del marchio per il quale sarà riconosciuto e ricordato. Fondamentale per un copywriter è “cambiarsi vestiti e indossare quelli del target”, quindi osservare il mercato di riferimento, i competitors, il proprio target, il singolo cliente, la strategia di posizionamento; per evidenziare le aree di rischio o le opportunità da sviluppare. La seconda, la strategia editoriale, identifica gli stream, argomenti e focus della comunicazione, molto utile per i contenuti social e il piano editoriale.

Perché è così importante il copywriting per un brand?

Che si tratti di copywriting per un’agenzia, per un’azienda o di un’attività mista svolta da un freelance, la scrittura resta un’arte capace di suscitare un vortice di emozioni reali nel lettore e coinvolgerlo emotivamente stuzzicando la sua immaginazione, raccontandogli la reale esperienza che deriva dall’acquisto e facendogli percepire tutto l’immaginario della marca. Ma soprattutto definisce l’identità di marca riconoscibile e duratura, facendo emergere il brand dal rumore del sovraffollamento digitale. Per avere una brand identity solida, la parola deve coinvolgere gli utenti, farli innamorare del brand, dei valori, dei punti di forza e anche dei propri piccoli difetti. Infatti, se i brand sono come gli esseri umani, devono parlare come loro, emozionarsi come loro, quindi anche essere imperfetti come loro. Secondo il modello de “il prisma della brand identity” di Kapferer, se la marca fosse un essere umano la sua personalità sarebbe costituita dal carattere e dall’anima che guidano la comunicazione di un brand: lo stile comunicativo fatto dal tone of voice, il copy e il design.

Tra gli iconici esempi troviamo il maggiolino Volkswagen che negli anni ’60, oramai insidiato dalla concorrenza di nuovi prodotti più trend e più belli, ha usato la parola in modo determinante per far leva su una verità del brand che sembra un difetto ma che diventa una forza, il motivo differenziante per cui dovrebbe essere scelto: il maggiolino resta il più affidabile, l’unico che ti porterà alla meta.
© Volkswagen of America, Inc. (1969)

Tra i nostri lavori vi raccontiamo il viaggio fatto con Muma, azienda pugliese produttrice di un’alta qualità di gin. Per riuscire a far sentire lo spirito Mediterraneo che contraddistingue il prodotto abbiamo esplorato la sensorialità sia nel packaging che nel copy “Come quel bacio salato”: entrambi ci portano a toccare con la vista, a immaginare la sabbia bianca, un falò, un’avventura da ricordare, una serata folle con gli amici…

Qui le parole disegnano tutto l’immaginario: il claim nasce dalla sensazione che crea il sapore del mare sulle labbra.

Oggi tra le aziende capaci di parlare con “voce autentica” con copy originali e coinvolgenti, ma sempre in linea con l’identità del brand troviamo Taffo, Visa, Coca-Cola, Nike, Ceres. Al tempo stesso marchi iconici come Nike e Apple ci mostrano la necessità di allineare anche l’identità visiva con il brand message: quello che la gente vede deve riflettere il messaggio del brand.

La strategia di comunicazione vincente resta quella integrata, capace di combinare gli elementi distintivi della marca, che la differenziano sul mercato dai competitors, e di raccontarsi nella sua autenticità non omologandosi alle mode e ai trend con data di scadenza, ma valorizzando al meglio ciò che è e che può offrire, difetti compresi.

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Smarcarsi dagli stereotipi verso l’autenticità

27 dicembre 2021  |  Graziano Giacani

 

Smarcarsi dagli stereotipi verso l’autenticità

 

Smarcati dai luoghi comuni.
Smarcati dal modo di fare preconfezionato.
Smarcati dagli stereotipi.
Smarcati dai circoletti chiusi, professionali e culturali.
Smarcati dall’egocentrismo professionale
e soprattutto smarcati dalla tua zona di comfort.

Quando abbiamo incontrato per la prima volta Federico Frasson, autore del libro “Smarcati” non ci è restato difficile confrontarci su come poterci smarcare da una comunicazione preconfezionata e incasellata in strumenti e metodi, a nostro avviso, troppo rigidi per chi ogni giorno fa impresa, portando nel mondo, attraverso il proprio prodotto, la cultura, l’identità e il carattere dei tanti territori che fanno dell’Italia il polo delle eccellenze più desiderate al mondo.

Da questo genere di confronti, nel tempo, sono nati tanti progetti che ognuno si è cucito addosso in base al proprio modo di essere: noi, attraverso il Brand Festival, Inversione di marca, il nostro libro edito da Hoepli, e tanti altri progetti per i nostri clienti e per il territorio. Federico, insieme alla sua agenzia ha collezionato sfide e successi, fino alla loro ultima fatica: “Smarcati, viaggio ai confini della marca” (edito da Egea), un progetto editoriale che nasce dal mestiere, dalla quotidianità e soprattutto dalla voglia irrefrenabile di ascoltare idee, visioni, dubbi e certezze anche al di fuori del proprio mondo professionale, mixando spunti e considerazioni di tante figure di riferimento in ambiti differenti.

Non perdetevi l’intervento del nostro Direttore Creativo sul rapporto tra le marche e i territori

Lo scenario giusto per alimentare di continuo nuova capacità critica, per concentrarci ancora di più non solo sul messaggio da comunicare ma soprattutto su come coinvolgere o nel caso delle eccellenze italiane concentrarci su come “semplicemente” far vivere al pubblico la propria verità. Per farlo, noi comunicatori dovremmo abituarci a mettere in un cassetto persuasione, stereotipi e tendenze per inventare o reinterpretare strategie e strumenti verso un unico scopo: l’autenticità.

Ovviamente consigliamo la lettura di questo testo perché la fusione di riflessioni differenti lo rende unico e soprattutto perché nasce da un innamorato di questo lavoro e delle sfide che comporta, come Federico Frasson, e quello che abbiamo imparato negli anni è che: “Per fare un buon lavoro di branding, bisogna essere innamorati due volte: del proprio lavoro e del cliente con cui si sta lavorando”

Buona Lettura.

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Il ruolo dei brand prima e dopo Glasgow

30 novembre 2021  |  Francesca De Donatis

30 novembre 2021  | Francesca De Donatis

 Il ruolo dei brand prima e dopo Glasgow 

 

Il vertice sul clima, dall’ottica di una giovane professionista del marketing

L’urgenza collettiva delle tematiche affrontate nella Cop 26 di Glasgow, il più grande vertice internazionale delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico e la crisi ambientale, ha coinvolto oltre 30.000 delegati tra cui capi di Stato, esperti climatici, attivisti per concordare un piano di azione coordinato che ci consenta di agire tempestivamente prima che sia davvero troppo tardi. La responsabilità, l’accountability e l’impegno nel tema del climate change è quello a cui si lega la presenza delle principali big tech a Glasgow: Apple, Alphabet, Microsoft, Meta, Twitter… che hanno esposto i propri, rinnovati, programmi di corporate social responsibility. 

L’obiettivo comune che fa da fil-rouge tra tutti i programmi di CSR (corporate social responsibility) è quello di mostrare chiaramente il proprio impegno nella carbon neutrality e nel ridurre a zero le emissioni di carbonio. Troviamo Apple, per esempio, che ha ridotto del 40% le proprie emissioni e che si impegna nell’avere dispositivi a zero impatto netto entro il 2030. Oppure il caso di Amazon che ha promesso di investire almeno due miliardi dollari in startup low-carbon; o ancora Google che fa dell’essere carbon neutral dal 2007 una bandiera e s’impegna a ridurre la propria impronta carbonica per giungere alle zero emissioni nette sull’intera filiera entro il 2030. E anche l’impegno di Microsoft si mette su questa strada alzando decisamente l’asticella dell’ambizione: mira non solo a risultare completamente carbon negative entro il 2030, ma anche a rimuovere entro il 2050 tutte le emissioni dirette e indirette di carbonio prodotte da quando è stata fondata, nel 1975.

Fridays for Future pre-COP26 Milano, Lombardy, Italy – Mænsard Vokser (CC BY-SA 4.0)

I piani verdi sono un ottimo modo per le aziende per mostrarsi partecipi, attiviste, coinvolte su uno dei temi più caldi del momento: il climate change. D’altra parte sono estremamente consapevoli della rilevanza di temi come sostenibilità e cambiamento climatico per i consumatori sempre più informati, esigenti e, soprattutto, attenti verso ciò che comprano. I criteri principali con cui scelgono un’azienda piuttosto che un’altra si riassumono in due: quanto viene fatto per l’ambiente e quanto viene fatto per minimizzare l’impatto inquinante. È ormai chiaro studiando i comportamenti di acquisto, soprattutto dei Millennials e della generazione Z, che l’aspetto economico non è più la sola e unica discriminante, ma le scelte di acquisto sono fortemente influenzate dalla concordanza con i valori del brand e dalla sua coerenza nel perseguirli con azione concrete. Tutto ciò si traduce in persone e mercati più attenti ai brand che hanno packaging plastic-free per esempio, o che hanno all’attivo iniziative di corporate social responsibility a sostegno di tematiche sociali attuali, come iniziative contro il gender gap o che hanno preso posizione su temi rilevanti di discussione pubblica come l’aborto o i diritti della comunità LGTBQ+.  

Tuttavia la richiesta di una partecipazione così attiva da parte dei brand, li porta oggi a doversi difendere da due rischi molto ingombranti. Il primo pericolo è quello che il proprio impegno nelle tematiche ambientali venga percepito come un tentativo di greenwashing: neologismo nato dalla combinazione tra le parole green (il colore tradizionalmente associato all’ambiente e al movimento ambientalista) e whitewashing (imbiancare e, in senso figurato, dissimulare o nascondere qualcosa), si riferisce al tentativo dell’impresa di “tingersi di verde”, dichiarando di essere green anche quando invece non lo è nella realtà.

Il rischio è quello di essere accusati di utilizzare maliziose campagne di comunicazione e di green marketing, messaggi pubblicitari o in qualche caso iniziative di responsabilità sociale per coprire l’impatto ambientale, negativo o più consistente del previsto, delle proprie attività e dei propri prodotti. Sono numerosi i tentativi di aziende o brand di descriversi come eco-friendly: più attenti, sensibili e impegnati in questioni ambientali più di quanto lo siano effettivamente. Questa situazione è causata dall’assenza di norme che impongono alle aziende chiarezza e trasparenza non solo nel definire il proprio impegno ma anche, per esempio, nelle scelte linguistiche. Tra i tanti modi in cui si può fare greenwashing c’è un linguaggio vago e approssimativo o troppo gergale e tecnico da risultare incomprensibile ai non addetti ai lavori, oppure l’impiego di immagini suggestive, con prevalenza di tonalità di verde o di soggetti naturali che evocano un certo commitment del brand o del prodotto verso le questioni ambientali. Nei casi più evidenti, i brand fanno greenwashing mentendo sulle emissioni o l’impatto ambientale dei propri impianti. In ogni caso si tratta di un comportamento scorretto e con una posta in gioco molto alta, considerando il danno di reputazione che potrebbe seguire all’eventuale debunking di informazioni e proclami non veritieri.

L’altra emergenza che le big tech si trovano ad affrontare è quella del negazionismo climatico in rete. Per cercare di contrastare la disinformazione e il dilagare di fake news sulle piattaforme digitali che cercano di ridurre l’entità della crisi climatica e di manipolare le notizie, si stanno avviando degli hub informativi con l’obiettivo di rimandare gli utenti a fonti ufficiali e sfatare falsi miti anche grazie a delle etichette che segnaleranno le notizie che potrebbero contenere informazioni manipolate o controverse. 

 

Tuttavia per poter parlare di un modello di business green è necessario che l’impegno verso la tutela dell’ambiente riguardi tutta l’azienda in ogni suo aspetto, a 360 gradi. Solo così una responsabilità sociale d’impresa che fa leva sulla salvaguardia del pianeta, può incidere sui processi produttivi, sulla logistica, sul punto vendita e sulle strategie di marketing, riuscendo a conformarsi alle normative che definiscono i valori limite di emissioni in atmosfera, il contenimento dei consumi energetici e le misure in materia di rifiuti. Ma ci sono aziende che cercano di fare di più: non solo si adeguano agli obblighi di legge ma si fanno portatori di consapevolezza verso la propria community.

La sfida per ogni azienda, piccola o grande che sia, è costruire una strategia di marca che possa giocare un ruolo fondamentale: deve essere coerente con il reale impegno dell’impresa che può inoltre sfruttare la propria influenza per incentivare il suo mondo a prendere parte alla causa. È necessario un coinvolgimento che parte dall’interno: una comunicazione interna che sappia indirizzare al comune obiettivo di sostenibilità i propri dipendenti, ma anche la scelta dei fornitori deve essere consapevole e tener conto dei principi di sostenibilità. La strategia di branding e lo sviluppo di una brand image green deve essere proporzionata al grado di impegno che l’azienda ha intenzione di riservare alla tutela ambientale. Tuttavia è indispensabile che la comunicazione esterna sia sempre meno pubblicitaria e sempre più concreta per essere una guida di nuove abitudini quotidiane più ecologiche e sostenibili.

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Uno sguardo diverso

1 luglio 2021  |  Leonardo Torta

 

 Uno sguardo diverso 

 

Guardare le cose con gli occhi di chi non le ha mai viste, questo è il segreto della meraviglia. Così come ci raccontava qualche anno fa il sociologo Michelangelo Tagliaferri dopo averci fatto rivivere la scena finale di Blade Runner dove Rutger Hauer raccontava delle meraviglie intergalattiche che i suoi occhi ormai stanchi avevano visto durante tutta la sua vita. L’importanza di avere sempre occhi nuovi la tocchiamo con mano ogni giorno, sia con i nostri clienti, per continuare a cavalcare i loro mercati in continua evoluzione, sia in prima persona come progettisti, quando il fatto di non applicare teorie e metodi assodati diventa vitale per non finire nel rumore social e mass mediatico che ci sommerge ogni giorno.

L’occasione che abbiamo oggi per avere uno sguardo nuovo sul nostro modo di fare ce la offre Leonardo Torta, attraverso questo articolo che nasce dalle sue emozioni durante il suo primo giorno in studio con noi per svolgere il suo tirocinio.

Buona lettura,
Graziano

 
 

“Dato un contesto nel quale esiste una oggettiva tensione tra la tendenza alla conservazione del patrimonio consolidato e la spinta all’innovazione, tocca alla leadership gestire in maniera equilibrata questa tensione, definire percorsi di adattamento reciproco in grado di valorizzare tanto la cultura storicamente consolidata quanto quelle che nuovi componenti portano con sé da esperienze diverse”

 

— Edgar Schein

 

La giornata attuale è l’alba di un nuovo percorso professionale che mi ha fatto immergere in questo contesto inesplorato. Questo non vuole essere un articolo autobiografico o incensatorio ma piuttosto uno sguardo esterno che cerca di comprendere la cultura ed il clima organizzativo aziendale attraverso la sua umile osservazione. Premiata Fonderia Creativa è un nome che evoca e che esprime intrinsecamente un focus sulla manualità, sull’arte di costruire, di partire dal contatto diretto e talvolta maniacale con l’oggetto, con il territorio.

 

Il territorio deve essere un’àncora per esprimere un’identità forte, un punto di partenza per gettare le basi e non perdersi nel mare magnum di comunicazioni standardizzate.

 
 

Il contesto attuale comporta una profonda riflessione sugli stili da adottare e sui contenuti da pubblicare, è richiesta un’attenzione maggiore sulle esperienze autentiche, empatiche. Serve anche sapersi raccontare per poter esprimere al meglio la propria ideologia e poterla usare come gancio stabile nel tempo.

Premiata Fonderia Creativa è, dunque, un insieme di artigiani che smussano e modellano la creatività, devono toccarla con mano, approfondendo metodicamente il rapporto con la propria terra. Le esperienze virtuali assumono gradualmente sempre più importanza ma fungono da contenitori vuoti senza la controparte fisica. Il marketing si fa societing, le aziende passano dal dire ciò che si fa al dire ciò che si è.

La bellezza estetica del palazzo in cui ha luogo l’azienda, adornato da pareti con raffigurazioni grafiche espressive, dal font grafico aziendale e dal teatro interno, descrive perfettamente i suoi aspetti intangibili ed una sensazione di work in progress che pervade l’ambiente.

La cultura interna serve per valorizzare la relazione con gli altri, creare relazioni più profonde e durature con il cliente. Un cliente che sempre di più ha impellente bisogno di essere rassicurato perché spaventato dall’avvenire.

E allora quale miglior problem solver se non un’azienda che si costruisce da sola?

 
 
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Branding

Da target a pubblico: la marca oggi

11 giugno 2020  |  Graziano Giacani

DA TARGET A PUBBLICO

Abbiamo appena caricato una bella immagine sul social del momento, scritto il post pieno di emoji e condiviso il tutto sul profilo aziendale. Un gesto semplice, di routine, che può fare benissimo anche lo stagista appena arrivato. Quello che, in realtà, abbiamo appena aperto è il sipario del palcoscenico più importante che abbiamo – il nostro mercato di riferimento – e lì, pronti ad assistere allo spettacolo, ci sono il nostro pubblico e i nostri critici più spietati. Tutti in fervida attesa e pronti a reagire a quello che faremo o diremo.

Se saremo scontati e poco interessanti, ci ignoreranno. E lo faranno di sicuro per un bel pezzo perché finiremo, per direttissima, nel rumore di fondo che i social generano ogni giorno. Ci fischieranno e tireranno pomodori e ortaggi se li abbiamo offesi, reagendo con critiche taglienti. Potranno anche creare nuovi contenuti che mirino a colpirci in modo violento: negli ultimi anni hanno fatto da apripista, in tal senso, Dolce&Gabbana, Barilla e tanti altri. Ah, però… se siamo stati interessanti, se abbiamo stupito o confermato alla grande le aspettative del nostro pubblico, allora saremo applauditi. Sul palco pioveranno le rose del trionfo.

Ecco perché, a chi governa e progetta una marca, conviene non pensare a un target di riferimento da colpire. È molto più efficace – e importante – concentrarsi sulle emozioni e sulle reazioni di un pubblico reale. L’obiettivo non è più solo comunicare chi siamo e cosa facciamo, ma è coinvolgere e guadagnarsi la fiducia delle persone con cui vorremmo interagire. Così riusciremo a vendere, in primis, attraverso il nostro modo di essere. E poi con il nostro modo di fare.

Da questa riflessione prende vita la voglia di rendere tangibile questo concetto. È per questo che, allora, nella nuova sede della Premiata Fonderia Creativa, abbiamo creato un piccolo teatro. A ogni posto corrisponde un’emozione o una reazione del nostro pubblico. Si parte dall’ultima fila con le reazioni di dissenso – rabbia, disaccordo, delusione –, per passare alla fila centrale: lì si trovano lo scarso interesse, la noia e la perplessità. E poi eccola lì, la prima fila: c’è la poltroncina dell’interesse, quella dell’approvazione e un’altra dell’ovazione.

Davanti a questa platea di emozioni ci dobbiamo domandare in quale posto siede il nostro pubblico e in quale vorremmo farlo accomodare

Se passate dalle nostre parti, saremo felicissimi di farvi fare questa semplice e coinvolgente esperienza. Sarà suggestiva, evocativa e, soprattutto, delicatamente istruttiva.

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Quando il marchio prende vita

5 settembre 2013  |  Graziano Giacani

quando il marchio prende vita

Empatia e istituzionalità verso i propri potenziali clienti: la comunicazione inizia qui. Spesso il ruolo istituzionale è svolto dal marchio, mentre l’empatia è più trasmessa dal testimonial, da campagne pubblicitarie, dalla gadgettistica. Da tutti quei materiali, insomma, che rappresentano la nostra identità. Ci sono casi in cui è il marchio stesso ad avere la forza di svolgere tutti questi compiti. Accade quando il nostro simbolo prende vita e diventa un personaggio che parla, gioca, coinvolge, comunica. Un personaggio vivente. Un testimonial esclusivo che rappresenta tutti i nostri valori. 

Da Topolino, all’omino Michelin (indimenticabile la sua esaltazione nel film Ghostbusters), alle mascotte delle squadre americane. Il personaggio è al centro dell’identità di marca e della comunicazione, è brand e friend contemporaneamente.  Minnesota Timberwolves, squadra di basket che milita nell’NBA

L’NBA ha enfatizzato al massimo questi personaggi simbolo creando delle storie coinvolgenti che rappresentano sia il territorio che la passione dei tifosi, contraddistinguendosi per le capacità acrobatiche, in modo da farli sfidare prima di ogni match creando la sfida nella sfida.

Non tutti i mercati sono predisposti ad un logo così coinvolgente, ma molte strategie contemplano ormai una mascotte da affiancare al marchio. Un esempio su tutti le identità visive delle varie edizioni delle Olimpiadi.

Anche per le piccole medie imprese, un personaggio che ci rappresenti può essere un valido alleato per divulgare i nostri principi e coinvolgere grandi e piccini. Da utilizzare per qualsiasi situazione una comunicazione semplice e diretta con una grande capacità di riconoscibilità e coinvolgimento.

Articolo di repertorio pubblicato dal precedente blog granodesign.it