25 aprile 2013 | Graziano Giacani
Morositas e Fruit joy, Saiva e il pennello Cinghiale, ma anche i rullini Kodak, le telefonate della Sip e i rubinetti Zucchetti. Dove finisce la pubblicità e dove inizia il ricordo? Uno degli aspetti più particolari dell’invasione pubblicitaria che caratterizza la nostra dieta mediale a partire dagli anni ’80 è senza dubbio il valore emozionale che tale forma di comunicazione suscita nelle persone. Per farla breve ci siamo affezionati alle “reclamé“. Gli spot televisivi in particolar modo sono diventati dei veri e propri contenitori di emozioni, abitudini e stereotipi di un frangente della vita, di un pezzo della nostra storia. Provate ad andare su Youtube e digitare per esempio “spot anni 80”. In un attimo si fa un tuffo indietro nel tempo, ci si immerge in un bagno di emozioni, ricordi, e sensazioni. E’ come sfogliare un album di famiglia, dove le immagini che conosciamo bene e che non guardavamo da qualche tempo ci raccontano qualcosa di nuovo e particolare, accendendo ricordi e stili di vita. Dai modi di dire, alle mode del momento a cui non siamo più abituati. Lo spot pubblicitario è per definizione un concentrato di emozioni e situazioni suscitate attraverso la conoscenza approfondita delle abitudini e delle aspettative del “telespettatore”. Scaduto il tempo di trasmissione, decade anche il compito principale dello spot: far vendere il prodotto pubblicizzato. Ma in realtà lo spot non muore affatto. Con il passare del tempo si trasforma in uno spazio preziosissimo e incontaminato dove rivivere un preciso momento storico e grazie alle sue capacità di sintesi e di conoscenza dei destinatari assume in automatico lo speciale dono di riassumere l’intero mondo in soli 30 secondi. Ricordi intimi ma allo stesso tempo comuni a tutti; pillole che ancora oggi strappano un sorriso o un’emozione. Un album dei ricordi. Un album pubblicitario.